Un sondaggio esclusivo di Global Thinking Foundation rivela che non siamo messe molto bene in fatto di cybersicurezza. E nemmeno a proposito di molestie online. Ecco tutti i dati, e come iniziare a cambiare le cose. Perché emancipazione vuol dire anche sapersi tutelare online.
Sentirsi protette e al sicuro è una delle componenti della felicità. Lo diceva già Aristotele. Eppure a volte noi donne ne fraintendiamo il concetto. Convinte che essere forti e non avere bisogno di nessuno sia sinonimo di emancipazione, facciamo cazzate. Tipo trascurare il fatto che, anche online, dobbiamo imparare a proteggerci. Perché la cybersicurezza non è qualcosa che riguarda solo le grandi società o i possibili bersagli di Anonymous. Tutti siamo dei possibili bersagli. E lo diventiamo nelle situazioni più banali, come quando facciamo shopping online o chattiamo via social.
Lo sa bene Claudia Segre, presidente di Global Thinking Foundation, fondazione da anni in prima linea sul fronte dell’emancipazione femminile che passa attraverso l’indipendenza economica, grazie alla formazione finanziaria e digitale. Per l’appunto, quest’anno, nell’impegno alla prevenzione alla violenza economica, attraverso queste attività si unisce l’attenzione verso anche la sicurezza digitale.
«Nel 2020 abbiamo avviato il progetto culturale Libere di…VIVERE, che partiva dalla prevenzione della violenza economica sulle donne. L’anno successivo ci siamo poi occupate di empowerment femminile in termini di educazione finanziaria e competenze digitali» spiega Segre. «Così, forti dei risultati raccolti con le famiglie e le scuole e con l’aumento dell’uso di internet dato dalla pandemia, ci siamo rese conto che la cybersicurezza era diventata una priorità. Anche perché i dati sul cybercrime sono in aumento, sia a scapito della sfera personale che professionale delle persone. E la cyberviolenza è solo l’ultimo tassello di una spirale di cui sono vittime soprattutto le donne».
Parliamone quindi, e a gran voce, partendo proprio dai dati di un sondaggio esclusivo realizzato a gennaio 2022 da GLT su un campione di 1000 italiane, dai 21 ai 60 anni, digitalizzate e utenti della nostra app Powderly.
Una fotografia che purtroppo ci coglie, se non del tutto impreparate, un po’ superficiali quando si tratta di sicurezza digitale. Per esempio, in fatto di shopping online, il 22% non verifica l’attendibilità dei siti da cui acquista e quasi il 30% non sa che un sito con l’indirizzo https è più sicuro di uno senza S finale. Il 19,2% rilascia i propri dati personali senza farsi scrupoli, mettendosi quindi a rischio phishing o spamming selvaggio. E il 12% non conserva i documenti di acquisto o nemmeno controlla che le siano arrivati. Il che, quindi, significa non avere nulla in mano se qualcosa nell’acquisto va storto.
Ma le cose si fanno ancora più serie quando si tratta di proteggere i propri conti online.
Altra situazione in cui la cybersicurezza è importantissima e si possono correre rischi seri se non ci si protegge in modo adeguato. Invece, c’è ancora chi (quasi il 10%) dichiara che comunicherebbe il PIN del proprio c/c al telefono o via mail, rendendolo quindi molto vulnerabile, visto che hacker o truffatori potrebbero intercettarlo violando semplicemente la casella di posta elettronica. Altro segnale di scarsa consapevolezza è usare password o codici d’accesso al cellulare facilmente intuibili, come fa il 54% delle intervistate che usa la data di nascita o una serie di numeri facili da ricordare, tipo 1234 o 1111.
E ora arriviamo a un tema ancora più delicato: quello delle molestie online.
«E’ il dato che mi ha colpito di più, perché riguarda il 56,6% delle intervistate, arrivando al 71% tra le ragazze più giovani» commenta Segre. «Un fenomeno a tutt’oggi davvero sconfortante che rappresenta un segnale d’allerta da cogliere subito e da tradurre nelle azioni e good practices che infatti scaturiscono dal nostro Progetto». Avances insistenti da sconosciuti, immagini e proposte hard da uomini ignoti fino allo stalking vero e proprio sono solo alcune delle forme che questo genere di molestia può assumere. E che per quanto il 41% delle donne dichiari di avere scelto sui social un profilo privato (talvolta dopo questo genere di comportamenti), non è tuttora facile da contenere.
Anche perché c’è ancora un ambito su cui la survey sulla cybersicurezza di GLT ha voluto iniziare a fare luce. E che i risultati dimostrano avere ancora per noi donne delle lacune in termini di consapevolezza e autotutela.
Quello di come la privacy digitale giochi un ruolo anche all’interno della coppia.
Specie quando il cellulare diventa uno strumento di controllo da parte di partner possessivi, gelosi o narcisisti. Succede a più del 31% delle intervistate, che quando non sono reperibili 24 ore su 24, subiscono “interrogatori” da mariti o fidanzati parecchio innervositi da un cellulare spento o non raggiungibile.
Per non parlare del fatto che una su due confida al partner il codice di accesso del proprio mobile. Tanto che infatti c’è chi (quasi il 17%) si ritrova con un lui che, almeno una volta, lo ha usato per ficcare il naso tra messaggi o posta elettronica. Certo, è probabile che lo abbia fatto, di converso, anche qualcuna di noi. Ma non senza provare almeno un velato senso di colpa.
Perché rispettare la privacy è una forma di rispetto dell’individuo. E tutelare la propria è, prima di tutto, una forma di rispetto di se stesse. Il cellulare è diventato un’estensione di noi, e della nostra vita. I social ci rappresentano. Il mondo online ormai è una realtà in cui davvero esistiamo: perché qui compriamo, agiamo, lavoriamo e mettiamo i nostri risparmi. Quindi dobbiamo imparare a proteggerci. Solo una domanda: scusate, ma voi non chiudete a chiave la porta di casa?