Prima di entrare nello stabilimento L’Oreal di Settimo Torinese, a due passi dal capoluogo piemontese, consegno il telefonino («Niente foto», mi dicono), lascio la borsa e mi cambio i vestiti: indosso scarpe antinfortunistiche, camice bianco, una cuffia che mi raccoglie i capelli e degli occhialoni per evitare che qualche scheggia impazzita arrivi fino ai miei occhi. Così bardata, varco la soglia di una delle fabbriche più grandi nel mondo beauty: da qui ogni giorno partono alla volta dell’Europa camion carichi di mascara, ombretti, blush e terre L’Oréal Paris e Maybelline NY e soprattutto, di shampoo Garnier Fructis. Ed è proprio per il lancio dei nuovi prodotti capelli Fructis e del restyling di tutta la linea che mi trovo a curiosare, per una volta, dietro le quinte.
Dietro le quinte dello shampoo più venduto d’Europa
La prima impressione è di trovarsi in un futuro orwelliano, dove le macchine hanno preso il sopravvento sugli uomini. Suoni, luci e instancabili catene di montaggio sembrano affastellarsi attorno al cuore pulsante dello stabilimento: il laboratorio dove un team di chimici effettua a ciclo continuo analisi e controlli sui prodotti appena confezionati.
A guidarmi, nei 55mila metri quadri di questa immensa fabbrica, è Stefania Frossasco, che qui è il direttore da diciassette anni. «Attenta ad attraversare», mi avverte. Lo stabilimento di Settimo Torinese è a tutti gli effetti una piccola città a se stante, con tanto di strade, strettoie, semafori e passaggi pedonali. E la possibilità di essere investiti è reale. Sì, ma da cosa? Lo capisco al primo semaforo rosso. Mente mi fermo ad aspettare il verde mi sfilano davanti a tutta velocità due muletti carichi di scatoloni. Niente di strano, se non che alla guida non c’è nessuno. Forse interpretando il mio sguardo esterrefatto, la direttrice spiega che il processo di automazione è uno dei fiori all’occhiello dello stabilimento.
E non certo il solo. A partire dall’energia che fa funzionare tutte queste macchine, e che è in larga parte prodotta nello stabilimento stesso. «Proprio sopra le nostre teste, sul tetto dell’edificio, ci sono 48mila metri quadri di pannelli fotovoltaici che, da soli, ci forniscono il 35% dell’energia di cui abbiamo bisogno. Il resto arriva da una centrale a biomassa, da un sistema di teleriscaldamento e dal sistema a biogas che produce vapore. Tutto questo fa del nostro stabilimento una fabbrica a zero emissioni di CO2» spiega la Frossasco. «E anche l’acqua qui non si spreca: con un complesso sistema di tubature che attraversano tutto il sito e che permettono il riciclaggio idrico in un circolo virtuoso, il consumo d’acqua è diminuito del 47% negli ultimi dieci anni».
Mentre ascolto, alzo gli occhi verso il soffitto: proprio sopra di me scorrono centinaia di flaconi pronti di essere riempiti di shampoo e balsamo. Seguendo con lo sguardo il condotto ne scopro la sorgente: un buco nel muro da cui sembrano sgorgare, una dietro l’altra, le confezioni in plastica verde. Da dove arrivano? Dall’altro lato del muro, dove ha sede il fornitore. «Si tratta del progetto Wall to Wall» mi spiegano. «Abbiamo pensato che avere come vicino di casa il produttore dei flaconi vuoti sarebbe stato molto comodo». E in effetti, dati alla mano, grazie a questa realtà industriale a kmZero, ogni anno vengono tolti dalle strade circa mille camion.
Ma quello che mi impressiona maggiormente, stando nel mezzo di una delle linee dello shampoo Fructis, è la velocità con cui arrivano i vuoti, passano attraverso una macchina che li dispone in verticale, vengono riempiti, etichettati e inscatolati. Un ritmo vertiginoso che più arrivare a una produzione di 180 flaconi al minuto. Che, moltiplicati per il numero di linee e per le 21 ore di attività giornaliera, fanno circa 750mila confezioni di shampoo prodotte ogni giorno. Una quantità enorme che da qui parte per essere smistata nei supermercati di tutto il sud Europa.
Come soldatini, sotto gli occhi attenti dell’unico operaio addetto alla linea, sfilano centinaia di flaconi del nuovo shampoo purificante Fructis Coconut Water (1), una delle tre nuove referenze insieme allo shampoo lisciante Coconut No Frizz (2) e allo shampoo secco Cucumber Fresh a base di cetriolo (3). Un restyling e una riformulazione (priva di parabeni, solfati e siliconi) che però coinvolge tutta la gamma più iconica degli anni 90, che oggi si ripresenta non solo con una nuova veste grafica, ma anche con un nuovo mix di ingredienti. Il punto forte? I superfrutti: a fare da base ai nuovi shampoo, creme, lozioni e maschere ci sono infatti non solo cocco e cetriolo ma anche açai, burro di karitè, melograno, avocado, mela, limone, pompelmo. E dei pack, come sempre, super colorati. Che, ora lo so, sono prodotti in una delle fabbriche più avveniristiche del mondo del beauty.